ARTICOLO N.3
FAREMO LA FINE DEI DINOSAURI?
3.0 – IMPATTO AMBIENTALE
Nel capitolo precedente abbiamo visto quali casini Noi Umani siamo stati in grado di combinare a partire dall’inizio del XX° secolo e nel corso nel XXI° secolo continuiamo imperterriti a mutare il nostro clima come se il fatto non ci riguardasse.
Oggi proviamo almeno a capire, con alcune evidenze scientifiche, che cosa sia successo in passato al nostro pianeta e che cosa sta succedendo oggi con un’atmosfera cosi compromessa.
I dinosauri si sono estinti in seguito all’impatto di due grossi meteoriti con la Terra, più precisamente il cratere Chicxulub nello Yucatán, in Messico e il cratere Nadir nell’Africa occidentale circa 66 milioni di anni fa. Non si esclude che i due meteoriti facessero parte di uno stesso oggetto ancora più grande, spezzatosi (almeno) in due parti prima di entrare in contatto con l’atmosfera o subito dopo. Gli impatti, oltre a causare esplosioni violentissime che hanno annientato ogni forma di vita nel raggio di centinaia di chilometri, hanno causato dei mega tsunami con onde alte più di 800 metri, inondazioni e terremoti sollevando grandi quantità di polvere e detriti nell’atmosfera, che hanno impedito ai raggi del sole di raggiungere il suolo causando una specie di “inverno nucleare”. Nell’oscurità durata parecchi mesi sono morte prima le piante che, private della luce, hanno interrotto la loro fotosintesi e poi tutti quegli animali di taglia medio/grande, dal metabolismo veloce come i dinosauri incapaci di resistere per lungo tempo senza cibo.
Questa teoria, ampiamente accettata da tutta la comunità scientifica è sostenuta da diverse evidenze, tra cui la scoperta dei crateri d’impatto di oltre 200 km di diametro e la presenza di strati ricchi di iridio tra le rocce risalenti a quel periodo (un metallo raro sulla Terra, ma abbondante negli asteroidi).
Altri scienziati, non dei ciarlatani, autori di un altro studio pubblicato su la rivista Scienceche si è basato su dati raccolti in oltre cinquant’anni, (guidati da Thomas Westerhold del MARUM, Centro delle Scienze ambientali marine dell’Università di Brema con una collaborazione che ha coinvolto 12 grandi laboratori in tutto il mondo) hanno individuato quali siano state le naturali oscillazioni del clima terrestre negli ultimi 66 milioni di anni, ovvero dall’estinzione dei dinosauri ai giorni nostri. Analizzando i sedimenti oceanici profondi, è stata creata una “curva del clima“, un tracciato che somiglia a un elettrocardiogramma chiamato CENOGRID (Cenozoic Global Reference benthic foraminifer carbon and oxygen Isotope Dataset), che è diventato il punto di riferimento per gli studi sui cambiamenti climatici.
Come in un elettrocardiogramma, CENOGRID ha registrato le alterazioni periodiche del clima del passato. L’andamento della curva ha rilevato quattro diversi possibili stadi climatici che gli scienziati hanno ribattezzato: (hothouse, warmhouse, coolhouse e icehouse – letteralmente serra, casa calda, casa fresca, ghiacciaia) a cui segue una sorta di yogurt prima di approcciarci all’era contemporanea dal qualesSi evince che ogni periodo geologico ha delle caratteristiche determinate dalle concentrazioni di gas serra e dal volume dei ghiacci polari: quando la CO2 in atmosfera era più abbondante nelle fasi più calde, queste erano anche caratterizzate da una ridotta copertura glaciale.
Lo scettico del cambiamento climatico a questo punto esulterà: «Avevo ragione io!»
È indubbio che nell’evoluzione del pianeta i cambiamenti climatici ci siano stati, ma ognuna di queste fasi è durata per milioni e in qualche caso anche decine di milioni di anni, e non soltanto qualche decina d’anni come sta succedendo ora. Quindi è corretto dire che all’interno di ogni singola fase geologica corrispondono delle ritmiche variazioni climatiche che possiamo immaginarle come singoli “battiti del cuore del nostro pianeta”, legati alle periodiche variazioni della sua orbita attorno al Sole, ma che nulla hanno a che spartire con l’effetto serra artificiale dovuto all’inquinamento antropico voluto dall’uomo.
Dunque Il pianeta TERRA, che non ha battuto ciglio alla perdita dei dinosauri che hanno dominato il pianeta per 150 milioni di anni, figurarsi cosa se ne può interessare se 8,1 miliardi di omuncoli, che stanno sulla Terra da appena 500.000 anni, hanno deciso di segare, con le loro mani, il ramo su cui sono seduti.
Questa lunga premessa per far comprendere ai miei affezionati lettori che, al di là di ogni dubbio, il nostro pianeta ha bisogno di tempi molto lunghi per modificarsi altrimenti succede l’Apocalisse come è successo ai nostri antenati lucertoloni che, sebbene fossero i padroni della Terra da 150 milioni di anni, sono stati spazzati via con un battito d’ala ma, almeno loro, sono stati incolpevoli della loro tragica fine.
3.1 – RISCALDAMENTO GLOBALE DEL PIANETA
Tornando ai giorni nostri Il grafico di sotto riporta le variazioni della temperatura superficiale della Terra dal 1800 in poi (linea nera) e le oscillazioni della temperatura nello stesso periodo (linee rosse).
Questi dati evidenziano come, in questi ultimi due secoli, la temperatura del pianeta è andata gradualmente aumentando con l’aumentare della industrializzazione, ma rivela anche che negli ultimi quattro decenni ci sia stato un crescendo mai visto prima e, in successione, il decennio successivo è stato più caldo di qualsiasi altro decennio che lo ha preceduto.
Penso che sia il caso che tutti noi si rifletta su quali siano stati gli effetti sul clima e sull’ambiente dal 1800 a oggi, e perché i 30 anni più caldi siano stati quelli successivi al 1990 e su quali sono gli effetti sul clima e sull’ambiente:
IMPATTO SUL CLIMA:
- Cambiamenti nei modelli di precipitazione: Si possono verificare cambiamenti nei modelli climatici con conseguente aumento della siccità in alcune aree e inondazioni in altre.
- Desertificazione: L’aumento delle temperature e la siccità possono portare alla desertificazione di alcune aree, con conseguenze sull’agricoltura e sulla disponibilità di risorse naturali e la conseguente perdita di biodiversità, ovvero i cambiamenti climatici compromettono l’equilibrio ecologico, con conseguente perdita di specie vegetali e animali, che non riescono a adattarsi ai nuovi ambienti.
- Scioglimento dei ghiacci: L’aumento delle temperature provoca lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, contribuendo all’innalzamento del livello del mare e alla perdita di habitat per molte specie animali. Lo scioglimento dei ghiacci e l’espansione termica dell’acqua marina contribuiscono all’innalzamento del livello del mare, mettendo a rischio le zone costiere e le aree basse.
- IMPATTO SULLA SALUTE UMANA:
- Aumento delle malattie infettive: L’aumento delle temperature favorisce la diffusione di malattie infettive trasmesse da vettori quali virus e batteri (per esempio pandemia Covid 19)
- Problemi respiratori: L’inquinamento atmosferico, aggravato dall’aumento delle temperature, può causare problemi respiratori e altre malattie.
IMPATTO SULL’ECONOMIA E SULLA SOCIETÀ:
Aumento dei costi sanitari: L’aumento delle malattie legate al clima e la necessità di gestire i disastri naturali portano a un aumento esponenziale dei costi sanitari.
Immigrazioni forzate: I cambiamenti climatici possono portare a migrazioni forzate di persone dalle aree più colpite, mettendo a dura prova i paesi ospitanti.
In sintesi, l’aumento della temperatura terrestre è un problema complesso e globale che richiede interventi urgenti non per sconfiggere, non siamo più in tempo, ma almeno per mitigare i suoi effetti negativi e adattarsi alle nuove condizioni climatiche.
Sempre gli esperti ci dicono, troppo spesso inascoltati, che proprio a causa dell’aumento delle temperature è “probabile” (probabilità tra 66 e 100%) che nei prossimi anni il riscaldamento globale faccia aumentare la frequenza delle tempeste tropicali, desertificazione scioglimento dei ghiacci, surriscaldamento di mari e innalzamento degli oceani.
3.2 – TEMPESTE TROPICALI
Le tempeste tropicali, chiamate a seconda dell’intensità cicloni, tifoni o uragani sono i fenomeni meteorologici più potenti, e distruttivi che si conoscano in natura e questi dal 1980 in poi hanno raggiunto numero e intensità mai viste prima.
Le tempeste tropicali si formano sopra gli oceani quando l’acqua del mare supera i 27°C e ricevono la loro energia dall’aria molto calda e molto umida. I venti, e con essi, le nubi formatesi nella zona di bassa pressione si mettono in rotazione intorno a un’area centrale di calma chiamata “occhio” e possono toccare anche i 250 km/h e in alcuni casi superare anche i 300 km/h. Questi fenomeni che prima riguardavano soltanto gli oceani, da alcuni anni riguardano anche i mari interni come il Mediterraneo. Quando poi il ciclone si allontana dalla sorgente calda inizia ad indebolirsi sino a dissolversi, a causa dell’attrito prodotto sulla terraferma, ma quest’attrito amici, significa il finimondo.
Dal 2021 al 2023 le tempeste tropicali soltanto in tutta Europa, che non è ancora un continente tropicale, hanno causato 53,2 miliardi di euro di danni per inondazioni, danni strutturali, interruzioni di servizi essenziali con numerosi decessi.
3.3 – SI SCIOLGONO I GHIACCIAI
Signori, lo scioglimento dei ghiacci non è una catastrofe ecologica, è una rovina totale, è l’APOCALISSE.
I ghiacciai sono la più grande riserva di acqua dolce del pianeta.
Lo scioglimento dei ghiacciai artici significa che la preziosa acqua dolce che si tramuta irrimediabilmente in acqua salata. Non solo, ma l’immissione di grosse quantità di acqua dolce e fredda altera le correnti marine rischiando che la Corrente del Golfo non riscaldi a sufficienza le coste europee con uno stravolgimento catastrofico del clima.
È notizia di qualche mese fa, rimbalzata sui media di tutto il mondo, che un gigantesco iceberg lungo più di 200 km, (quanto la Liguria per intenderci) si è distaccato dall’Antartide e si sta sciogliendo nell’oceano. Questo è l’ennesimo clamoroso avvertimento che la Terra ci sta fornendo sul mutamento del clima.
Poi c’è la perdita irreversibile dei ghiacciai montani che sono la seconda più grande riserva di acqua dolce al mondo. In particolare sono i ghiacciai montani che alimentano le falde sotterranee quindi è l’acqua che noi beviamo, mentre sciogliendosi, inevitabilmente, anche loro si tramuteranno prima o poi in acqua salata.
Nell’indifferenza generale, cari amici, questa è la realtà che viviamo ogni giorno, dimenticando che l’aumento delle temperature, favorendo lo scioglimento dei ghiacciai polari e montani porta una lunga serie di effetti negativi. Di seguito ne elenco soltanto alcuni dei tanti che tale cataclisma comporta sull’ambiente:
- Innalzamento del livello del mare: Lo scioglimento dei ghiacciai polari e montani significa acqua più calda ma le acque, riscaldandosi, aumentano il proprio volume: il mix di questi due fenomeni contribuiscono entrambi all’aumento del livello dei mari modificandone la temperatura e la salinità aumentando il rischio di inondazioni nelle aree costiere e la perdita del nostro habitat.
- Riduzione delle riserve di acqua dolce: I ghiacciai sono la nostra fonte strategica di acqua dolce. Lo scioglimento dei ghiacciai ne riduce la disponibilità, mettendo a rischio l’approvvigionamento umano e agricolo.
- Alterazione delle correnti marine: La fusione dei ghiacci, modificando la salinità e la temperatura dell’acqua oceanica, influenza le correnti marine e, di conseguenza modifica il clima dei continenti.
- Alterazione degli ecosistemi con perdita di biodiversità: Lo scioglimento dei ghiacciai altera gli ecosistemi terrestri e acquatici, influenzando la flora, la fauna e gli equilibri ecologici mettendo a rischio molte specie animali e vegetali, che perdendo il proprio habitat perdono anche la possibilità di trovare cibo.
- Aumento di fenomeni meteorologici estremi: Lo scioglimento dei ghiacciai contribuisce all’aumento di fenomeni meteorologici estremi, come inondazioni, siccità e ondate di calore più intense.
Anche se oggi riuscissimo a contenere l’aumento della temperatura del Pianeta ai livelli attuali, l’aumento del livello dei mari continuerà a crescere per decenni,
mettendo in pericolo la vita di milioni di persone.
3.4 – LA DESERTIFICAZIONE DEL PIANETA
Sui 8,1 miliardi di abitanti del Pianeta, oltre 3 miliardi vivono nelle zone aride, queste ultime, se messe insieme, coprirebbero il 46,2% delle terre emerse. Basterebbero questi 3 numeri per renderci conto di quanto il benessere della umanità sia legati a doppio filo alle condizioni del suolo.
Tutti noi, quando pensiamo al deserto immaginiamo immense distese di sabbia che guadagnano spazio, ma in realtà la definizione ufficiale di “desertificazione” è più complessa perché si riferisce al: “Degrado delle terre nelle aree aride e semi-aride, attribuibile ai cambiamenti climatici e alle attività umane”.
Secondo l’Atlante mondiale della desertificazione pubblicato nel 2021 dalla U.E. ogni anno vanno incontro al degrado 4,2 milioni di Km², vale a dire circa la metà della superficie dell’Unione europea, e questo avviene soprattutto in Asia e Africa per cui da oggi al 2050, circa 700 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa della desertificazione, ovvero per le conseguenti carestie.
La desertificazione inoltre produce gli incendi dei nostri territori
Se parliamo di desertificazione non possiamo non parlare di INCENDI e viceversa. Gli ingredienti per generare un incendio boschivo sono quattro:
- la siccità – una miccia – qualcosa che bruci: il legno – qualcosa che alimenti le fiamme: l’ossigeno.
Assodato che, almeno in Italia, oltre il 90% degli incendi sono dolosi, non dimentichiamo che l’agricoltura intensiva è responsabile di circa il 30% degli incendi boschivi a livello mondiale e il meteo è la causa principale della propagazione di un incendio poiché, l’alta temperatura dell’aria, la bassa umidità e la velocità del vento ne influenzano l’intensità e la rapidità di espansione.
L’incendio oltre alla distruzione boschiva e del suo habitat, distrugge anche le radici degli alberi, facendo venire meno l’azione di ancoraggio del sistema pianta-suolo-roccia per cui in caso di piogge consistenti, anche di breve durata, la pioggia scorrendo su superfici inclinate e senza più ostacoli naturali tende a provocare frane che poi possono interessare catastroficamente le aree urbanizzate poste a valle.
Negli ultimi anni siamo stati testimoni di incendi apocalittici come quelli dell’Australia o della California, solo per citare i più recenti.
Inoltre la desertificazione, cioè la degradazione di suoli fertili in aree aride, porta a gravi risvolti ambientali, economici e sociali. Di seguito soltanto alcune delle possibili conseguenze:
- Perdita di biodiversità: la desertificazione riduce la capacità del suolo di supportare la vita vegetale e animale, portando alla scomparsa di specie e alla diminuzione della complessità degli ecosistemi.
- Degrado del suolo: la desertificazione rende il suolo meno fertile e meno capace di trattenere l’acqua, compromettendo la sua capacità di sostenere la coltivazione e la produzione agricola.
- Riduzione della capacità di stoccaggio della CO2: la mancanza di vegetazione e microorganismi nel suolo riduce la capacità di assorbire anidride carbonica dall’atmosfera.
- Perdita di produttività agricola: la desertificazione rende i terreni inagibili per l’agricoltura, riduce la produzione di cibo e le entrate delle comunità umane che dipendono da essa.
- Aumento della povertà e conflitti per le risorse: la desertificazione porta alla perdita di mezzi di sostentamento e all’aumento della povertà nelle aree colpite. La competizione per le risorse scarse, come acqua e terra, può portare a conflitti sociali, politici e militari e all’instabilità politica, in quanto le popolazioni colpite sono più suscettibili a conflitti e disordini sociali.
- Migrazioni forzate: la perdita di mezzi di sostentamento e la scarsità di risorse inducono le persone a migrare verso aree più fertili, causando pressioni sulle risorse e sui servizi in altre regioni.
- Problemi di salute: la desertificazione e l’inquinamento portano alla diffusione di malattie trasmesse da animali che vivono in aree desertificate, o da inquinanti industriali che comportano il peggioramento della qualità della vita.
Nel prossimo articolo cercherò di esaminare più da vicino l’impatto ambientale della nostra amata ma fragile ITALIA.
Ad maiora semper