
TATUAGGI: storie di ieri e moda di oggi
Gentili lettori oggi vi voglio parlare di una strana storia che sembrava essere stata sepolta dal tempo e adesso è risorta come “l’Araba Fenice”: il tatuaggio.
I giapponesi già intorno al 5000 a.C. ornavano le statuette di argilla con incisioni simili a tatuaggi, mentre in Occidente l’origine più antica è stata accertata sulla la mummia di Ötzi, di oltre 5300 anni fa, (ritrovata sulle nostre Alpi), che presenta tatuaggi con significato probabilmente terapeutico, come pure sulle mummie egizie di 3000 anni fa e tra le culture dell’indo-Pacifico.

Nel mondo greco-romano, il tatuaggio era considerato barbarico e usato per marchiare schiavi e criminali, poi dal Medioevo sino agli anni ’70 del secolo scorso la pratica del tatuaggio si era quasi azzerata in Europa, soprattutto dopo il divieto di Papa Adriano I nel 787, ma persistette tra i marinai che collezionavano tatuaggi in ricordo delle estenuanti traversate dei mari del Sud e tra i galeotti come segni di rango o di vergogna.
Dunque i tatuaggi nella storia sono stati sempre visti come simboli religiosi, spirituali, medici oppure simboli di Identità o status sociale.
Il tatuaggio oggi
Intorno agli anni ’70 del secolo scorso la diffusione del tatuaggio in Occidente scorso ha ripreso vita diventando un simbolo di ribellione, ma comunque era rimasto relegato ad alcune sottoculture come quella “punk”.
Persino le top model che hanno calcato le passerelle più prestigiose del mondo sono state sempre immacolate e incontaminate sino alla nota copertina del marzo 2019 di American Vogue con Justin e Hailey Bieber, i quali potrebbero essere definiti i responsabili dello sdoganamento dei vistosi tatuaggi, facendoli entrare a far parte del mondo della moda.

Oggi il tatuaggio ha perso la sua aura sovversiva, diventando un’affermazione di moda non meglio definibile ed è accettato in Occidente sebbene ci siano Paesi del tutto maldisposti come quelli asiatici e le nazioni mussulmane dove il tatuaggio è severamente vietato.
Davvero in Italia ci sono più persone tatuate rispetto al resto del mondo?
Sì, è vero. Varie ricerche di settore e i sondaggi più recenti della Dalia Research (ripresi da molte testate giornalistiche italiane) hanno riportato che l’Italia ha il tasso più alto al mondo di persone tatuate, con il 48% della popolazione. Lo stesso studio afferma che non sono soltanto le giovani generazioni a vantare dei tatuaggi, che le donne sono più tatuate degli uomini e che la fascia di età più tatuata è quella fra i 30 e i 49 anni. Nel libro “Rinascimento del tatuaggio” l’autore Fulvio Tassi inquadra il tatuaggio come sintomo della crisi del mondo occidentale, addirittura come imbarbarimento. Effettivamente, guardando l’eccesso di orrendi tatuaggi in circolazione, è facile comprendere il punto di vista dell’autore.
La prova provata di quanto entrambi siamo dicendo la si può ottenere andando in un qualsiasi stabilimento balneare frequentato da italiani e stranieri. Personalmente ho visto sui corpi degli italiani, giovani e adulti, un mosaico di tatuaggi, una stupida accozzaglia di simboli, frasi, animali, date e per contro la gran parte degli stranieri avevano la pelle linda, senza segni come se ci fossero due modi diversi di stare al mondo, due modi di abitare il proprio corpo.
In Italia, da sempre troppo sensibile alle influenze delle celebrità e dei social media, i tatuaggi sono diventati, da simbolo di ribellione, ad un fenomeno di massa con la convinzione dei tatuati che questi siano delle personali pseudo-espressioni artistiche e con il loro convincimento che questo sia diventato una forma di linguaggio, ma quel che è peggio che di questi segni permanenti si sono marchiati persone di ogni estrazione sociale per cui si è passati da un fenomeno di sottocultura al fenomeno di massa.
In un tempo in cui tutti cercano di dire “ci sono anch’io” per cercare di distinguersi dall’altro, non potendo praticare altre vie per avere la conferma della propria identità, si sono andati a riesumare dei segni antichi, tribali, senza pensare che, in un mondo che urla per farsi vedere, l’unicità sparisce e quel tatuaggio perde la sua forza e diventa una triste divisa, un segno di appartenenza alla massa, un segno di disagio intellettuale. Allora quel corpo che con il proprio tatuaggio voleva far parlare solo si sé, finisce per dire sempre e soltanto la stessa cosa: “sono uno come voi” e quel simbolo, nato per rompere le regole, finisce fatalmente per crearne di nuove.
Personalmente, più vedo dei corpi pieni di segni, più sento il desiderio di una pelle nuda, pulita, che non vuole raccontare nulla, una pelle che tace, che non chiede di essere letta, che non ha bisogno di dichiararsi.
Questa potrebbe essere una forma di vera libertà: il non dover dire tutto, il non dover mostrare tutto, avere un pezzo di sé che resta invisibile e non condiviso.
Il silenzio del corpo come gesto sovversivo.





